Oltre il referendum
15 Giugno 2006 |
Referendum del 25-26 Giugno 2006
L’astensione non conta. Ma vincerà
Dopo le elezioni politiche e quelle amministrative, col referendum del 25 – 26 giugno, la classe politica (in questo caso gli oppositori della riforma voluta dal Polo e approvata dal Parlamento, divenuti nel frattempo maggioranza di governo) chiede al popolo italiano un ennesimo voto, che rischia di allontanare ulteriormente la gente dalla politica.
Si tratterà di dire di sì o di no a un intervento di riorganizzazione dei poteri e del funzionamento degli organi costituzionali (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo) e delle Regioni, che sulla stampa è stato erroneamente presentato come devolution e presidenzialismo. In realtà, la riforma costituzionale da approvare o respingere, da una parte, rafforza i poteri del Premier blindando il risultato elettorale fino a rendere impossibili cambiamenti di coalizione senza nuove elezioni. Dall’altra, sul piano della presunta devolution, incrementa i poteri dello Stato più di quanto non devolva ulteriori funzioni alle Regioni, rischiando di essere più centralista del testo in vigore, che è stato approvato dal governo di sinistra nel 2001.
Ma, al di là delle possibili letture, la riforma sottoposta a referendum resta un insieme di norme con alcuni contenuti interessanti e altri discutibili, che la rendono quanto mai inadatta a essere approvata o respinta in toto. Di conseguenza, nessun elettore, nemmeno il più esperto, sarà in grado di dire in modo circostanziato quale sia la sua posizione in merito. E l’astensione la farà da padrona.
In realtà, che cosa sta accadendo? La classe politica – e una nutrita schiera di intellettuali con essa – sta spingendo per trasformare il voto in un referendum pro o contro i partiti che hanno fatto del sì e del no le proprie bandiere. Questo solo sembra in gioco. Il referendum è l’ennesimo pretesto perché qualcuno possa, poi, gridare vittoria senza che questo significhi un briciolo di bene in più per il popolo e le sue istituzioni.
Prendere posizione per il sì o per il no equivale a entrare in questo gioco ed è per questo che noi, accogliendo la scelta dei vescovi di non dare indicazioni di voto, non intendiamo prestarci a incrementare la già pesante spaccatura di questo Paese.
Se si vuole cambiare, occorre impegnarsi insieme a ridisegnare un assetto di regole condivise che sostengano il rinnovamento dell’Italia; è ciò che molti prefigurano come una nuova fase costituente. Costoro, senza precondizioni, un dialogo e un lavoro lo hanno già iniziato; e nessun monosillabo – certamente il no ancor meno del sì – potrà fermare il desiderio e lo sforzo di incidere sugli assetti del Paese fino a toccare, per migliorarla, anche la sua dimensione costituzionale.
Giugno 2006
Compagnia delle Opere