I custodi dei diritti
Antoine Garapon
Feltrinelli Editore 1997, pagg. 188
Antoine Garapon – Denis Salas
La repubblica penale
Liberilibri 1998, pagg. 104
Il pensiero di Garapon (Segretario Generale dell’Institut des Hautes Etudes sur la Justice ed ex giudice minorile) parte dalla constatazione che le società moderne generano una domanda di giustizia qualitativamente e quantitativamente inedita.
A detta dell’autore, di fronte al fallimento dei sistemi democratici moderni, basati sulla cultura relativista e dell’indifferenza dei singoli valori, ci si riferisce al giudice quale unica autorità riconosciuta, investendolo di poteri sino a poco tempo fa impensabili. Questo è il “paradosso della società democratica che riversa sulla giustizia le sue domande di senso non soddisfatte. Forse ci si rivolge alla giustizia come ultima risorsa, perché ci si aspetta da lei un ruolo morale, ruolo che, in tutta evidenza, non può svolgere. L’attuale esaltazione per la giustizia, che si spiega soprattutto con la scomparsa di istanze che un tempo svolgevano una funzione morale, evidenzia più una mancanza che una domanda positiva nuova“.
Per Garapon, dunque, la mancanza, nelle società occidentali evolute, di una autorità sociale universalmente riconosciuta, si traduce in un abnorme ampliamento dell’intervento della giustizia su comportamenti in precedenza definiti da altri metodi di regolazione sociale: “La trasposizione dei problemi umani e sociali in termini giuridici ha causato guasti al legame sociale. Ciò che un tempo era spontaneamente e implicitamente regolamentato dai costumi, oggi deve essere regolamentato esplicitamente e formalmente dal giudice. Ne consegue una forte giuridicizzazione dei rapporti sociali. Costretta, a sua volta, a giustificare ogni intervento, la giustizia deve lanciarsi in un processo infinito di enunciazione delle norme sociali. Il diritto attraverso la voce del giudice si impegna in un lavoro di definizione e di esplicitazione delle norme sociali, che trasforma in obbligazioni positive ciò che fino d ieri apparteneva alla sfera dell’implicito, dello spontaneo, dell’obbligo sociale“.
Il diritto diviene così l’ultima morale comune in una società che non ha più morale.
Una morale che, per sua stessa natura, è una morale per difetto, poich´ sanziona ciò che, commesso e/o omesso, non doveva essere fatto: “Il diritto diventa quindi la morale per difetto. Ma non è forse troppo chiedergli tutto questo? Il diritto considera i rapporti sociali solo a partire dall’ipotesi del bad man, ossia del cattivo contraente, del figlio indegno, del dipendente scorretto. La gente felice non conosce il diritto. Che cos’è una società ipergiuridicizzata? È una società in cui l’ipotesi del bad man tende a divenire la sola visione dei rapporti sociali: ecco l’impasse della democrazia giuridica: questa morale si sostituzione non potrà mai instaurare la fiducia. Si tratta pur sempre di una socialità, ma di una socialità negativa: esiste una reciprocità, ma è dell’ordine della diffidenza. Il legame sociale si fonda ormai sul sospetto generalizzato e sulla colpevolezza dei rapporti sociali“.
Per il pensatore francese, dunque, questo continuo ed insistito ricorso al diritto svela una conseguenza paradossale: in una società basata oramai sull’individualismo autorefenziale, con il conseguente mancato riconoscimento di altre autorità diverse dal foro della propria coscienza, ci si rimette sempre più al controllo di un soggetto terzo: il giudice.
Per l’autore quindi la giustizia “concentra tutto il tragico della democrazia moderna mostrando al tempo stesso la sua incapacità a far meno dell’autorità e la sua incapacità di darle un fondamento e un regime istituzionale. Più di ogni altra la società democratica richiede una trascendenza ma, allo stesso tempo, la vieta. È il paradosso della giustizia che deve esercitare una funzione terza in una società di uguali, occupare un posto esterno in una società senza distanze. Il giudice non deve sostituirsi al terzo assoluto, di cui la democrazia continua a portare il lutto“.
Nei capitoli conclusivi dei due testi (soprattutto in “La Repubblica penale”) Garapon si pone alla ricerca di una possibile soluzione dei problemi descritti, individuandola in nuovi luoghi e forme di incontro tra il mondo politico ed il mondo della giustizia.
A tal riguardo, ` altamente significativo che gli estensori delle pagine introduttive dell’edizione italiana dei due testi (il magistrato Bruti Liberati, Presidente di ANM, ed il politologo Angelo Panebianco) non indichino alcuna personale soluzione del problema che, allo stato, rimane più che mai scottante ed attuale.