Giustizia e Pacifismo
È di ieri la notizia, apparsa sul Corriere della Sera, che alcuni pacifisti romani “disobbedienti” sono stati condannati per avere distrutto la notte del 22 marzo tre distributori di benzina della nota compagnia petrolifera Esso ed imbrattato gli uffici della stazione di servizio con la scritta: “no blood for oil”.
Lievissima la pena inflitta ai “disobbedienti”: il Giudice per le indagini preliminari di Roma, infatti, pur ritenendoli responsabili dell’episodio vandalico, ha ritenuto che questi abbiano agito per motivi di particolare valore morale e sociale, e che siano dunque meritevoli dello sconto di pena previsto per tale attenuante dal codice penale.
Ovviamente non ci scandalizza l’esiguità della condanna. Anzi, di ciò non possiamo che prendere atto e complimentarci con l’efficace difesa degli imputati. Ci colpisce invece che un Giudice abbia potuto ritenere l’odio espresso e la devastazione compiuta da tali sedicenti pacifisti come fatti – sono le testuali parole della sentenza – di “particolare valore morale e sociale”.
Come ha acutamente osservato alcune settimane fa, di fronte alle numerose manifestazioni di protesta che hanno seguito l’inizio delle ostilità in Iraq, il fondatore di Comunione e Liberazione, Don Luigi Giussani “…occorrerà riflettere se certo pacifismo non sia altro odio scaraventato nelle piazze” (Corriere della Sera del 25/2/3003).
È preoccupante constatare come simile “pacifismo” – foriero solo di nuova violenza – risulti ora trovare legittimazione e plauso perfino nelle aule dei Tribunali.
Segno evidente della confusione che domina il tempo attuale.
Milano, 9 Aprile 2003